Quella che ancora oggi vede la fine imminente del regime neoliberale è la parte illusa della storia. L’idea del suo ipotetico declino è falsa, e non è del tutto chiaro il punto focale dal quale partono, ciclicamente, le esili linee del discorso che danno forma a questo tipo di argomentazione: giacché nemmeno l’onda d’urto provocata dai recenti avvenimenti è riuscita a produrre alterazioni di sorta capaci di sovvertirne l’impianto strutturale-ideologico che lo costituisce.
Il perdurare della crisi del debito, l’esacerbarsi progressivo delle diseguaglianze, la nascita e l’ascesa dei populismi – con il conseguente insediamento a tutti i livelli della politica e della propaganda politica dei partiti a trazione sovranista (o pseudo-sovranista) –, fino alla crisi climatico-ambientale e alla singolare anomalia del lockdown planetario, non costituiscono una seria minaccia volta al suo indebolimento.
Al contrario, oggi, queste sembrano piuttosto le tappe di un processo di intensificazione e consolidamento. Un’azione coadiuvante a cerchi concentrici, un perpetuo meccanismo di assorbimento e spurgo di ogni ostacolo, che permette al progetto neoliberale di mantenere intatta l’integrità del suo paradigma. Perciò non declina, non muore: ma si proietta in avanti. Guarda al futuro. E munito di anticorpi contro ogni forma di dissenso, rinnova, di volta in volta, il suo dominio: coagulandosi così in unico centro nucleico sempre più coeso e impenetrabile.
La narrazione che lo ha visto retrocedere nello scontro – non ancora concluso e sempre attuale – tra l’alto e il basso, trova, qui e là, elementi di veridicità. Ma chi, (almeno fin qui), ha voluto scambiare quella che a tutti gli effetti, già dal suo inizio, si presentava come una contrazione organica, muscolare (simile a quella che manifesta la Piovra quando una mano prova a sfiorargli i tentacoli), con il suo effettivo declino, ha commesso (e continua a commettere) un errore di valutazione enorme.
È assodato che lo scollamento tra popolo ed élites, alimentato dal divario – oramai incolmabile – tra povertà e ricchezza, e tra l’evidente strapotere egemonico della classe dominante e l’impotenza di tutti gli strati sociali subalterni ad essa, passerà alla storia come la cifra peculiare della nostra epoca. Così come non non vi è dubbio alcuno, che tale cifra, lascerà un’impronta sempre più profonda sul solco della storia: dato che la tensione che ora scorre nella nervatura che lega questi due mondi non è destinata a interrompersi. Ciò che si vuole mettere in discussione, qui, non è nient’altro che il ripetuto annuncio della sua morte mai avvenuta. Sottolineare, in sostanza, l’evidente inconsistenza dei ripetuti anatemi e dei prematuri necrologi dentro cui si sono spesi note personalità del mondo politico e intellettuale. [1]
C’è, in realtà, un altro aspetto largamente ignorato da gran parte dei teorici della critica politica contemporanea, sul quale, ora, bisogna focalizzarsi con urgenza. La sua metamorfosi. Perché alla contrazione corrisponde quasi sempre un’offensiva immediata, impulsiva, decisa, che è tipica di chi detiene un domino o un potere minacciato. Ed è esattamente da questa reazione che bisogna partire per capire la svolta storica che sta compiendo l’attuale classe dominante: non tanto perché l’offensiva in corso provocherà la definitiva dissoluzione della società così come l’abbiamo conosciuta, ma perché tale reazione sta già imponendo un cambio di strategia significativo, che in sostanza equivale all’annientamento della tecnica di governance che ha contraddistinto il neoliberalismo rispetto a tutti i regimi del passato.
L’invisibilità.
A suo tempo, sul sorgere di questo nuovo modello di regime, fu Pier Paolo Pasolini uno dei primi intellettuali in grado di cogliere l’essenza nucleica del neoliberalismo: non solo perché egli lo descriveva già come “una nuova forma totale di fascismo”, ma perché proprio attraverso il concetto di invisibilità riuscì a mettere a fuoco i contorni e a delinearne con esattezza la sua cifra peculiare.
Per Pasolini, infatti, il neoliberalismo si costituiva sin da subito come “un Potere senza volto” capace di reprime e omologare attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre”. [2]
La forza del concetto d’invisibilità e poi rimasta valida negli anni, tanto da giungere riciclata nelle sue varianti fino ai giorni nostri.
Ne sono prova alcune opere recenti come Guerra alla democrazia. L’offensiva dell’oligarchia neoliberista di Pierre Dardot e Christian Laval (DeriveApprodi 2016), Psicopolitica di Byung-chul Han (Nottetempo 2016) e Riprendere il controllo di George Monbiot (Treccani 2019).
Ma oggi, questa sua validità, sembra essersi sfaldata in un nuovo avvitamento. Perché ora, il neoliberalismo, si trova a fronteggiare la fase più turbolenta della sua esperienza. Cioè quella che potremmo definire come fase di svelamento obbligato: ovvero il passaggio da Potere invisibile a Potere visibile. Perciò assistiamo già al lento dischiudersi della sua forza. Al palesarsi della sua vera natura. All’esplosione della violenza covata per troppo tempo tra le pustole.
Esattamente così come aveva già intuito Baudrillard:
“In una società che, a forza di profilassi, di messa a morte dei suoi riferimenti naturali, di candeggiamento della violenza, di sterminio di tutti i suoi germi e di ogni sua parte maledetta, di chirurgia estetica del negativo, vuole ormai avere a che fare soltanto con la gestione calcolata e col discorso del Bene, in una società in cui non c’è più alcuna possibilità di dire il Male, quest’ultimo ha subito una metamorfosi in direzione di tutte le forme virali e terroriste che ci ossessionano”. [3]
Forse c’eravamo abituati davvero all’assenza illusoria del Male, avevamo creduto davvero alla fiaba di un mondo senza diavoli, al solo Bene che bagnava a cascata ogni aspetto dell’esistenza: ma oggi il Male è risorto e viene dal basso, così come dall’alto. Dai dominati in rivolta, così come dal regime in difesa. E in ciò consiste lo svelamento: nella liberazione del Male recluso, nella nudità annunciata del re e del suo regno, che si traduce all’istante in mero esercizio muscolare, in oggettiva violenza trasmessa in mondovisione.
Tuttavia, è probabile che l’individuo strettamente legato all’ideologia neoliberale coglierà tardivamente (o non coglierà affatto) questa mutazione in corso. Ma i segnali di questo svelamento sono chiari e inequivocabili: il Male – in tutte le sue forme e in tutta la sua essenza – ha ripreso a circolare indisturbato per le strade. Non più come eccezionalità. Non più come anomalia: ma come certezza.
In Grecia il Male ha assunto la gelida forma dei numeri, che sono uno strumento in grado di provocare miseria e morte nel più muto dei silenzi. [4] Progressivamente, in Francia, quella di giovani corpi mutilati nel corso di una guerra civile non dichiarata, deplorata dalle istituzioni europee e censurata tout court da tutti i media occidentali. In Cile ha riesumato demoni antichi, l’afflato pinochetista, la forza bruta e la violenza militare. Così a Hong Kong: dove chi non ha preso parte alla degenerazione è stato arso vivo dagli stessi manifestanti. E ancora così in ogni periferia dell’Impero, dove da tempo hanno imparato a convivere con il peso di questo svelamento.
Ma quelle descritte fin qui sono solo alcune delle vette più note a cui assurge questo Male liberato. Non le più alte. C’è una violenza assai più insidiosa. Più virulenta. Più Corrosiva. “Meno spettacolare”. Questa, oltre al già noto e assai diffuso senso di apatia verso le diseguaglianze, si manifesta, senza pietà, nell’arrogante ingerenza quotidiana dei mercati sulla politica. Nell’incessante propaganda che mina di continuo i valori legati ai concetti di indipendenza e sovranità. Nel consueto sabotaggio di tutti i rituali democratici in favore di un livello sempre più elevato di burocraticizzazione e tecnicizzazione dei circuiti. Nel virtuale, divenuto ban-opticon [5]: nuova dimensione di censura e di ingegnerizzazione comportamentale. E ancora nell’odio verso i più deboli, gli anziani, le origini, la tradizione, l’Uomo. E giù via di questo passo, fino a riesumare il Male che ha dilaniato il corpo di Robert-François Damiens: perché nulla, in fondo, ci vieta di tornare allo splendore dei supplizi. [6] Come nulla ci vieta di guardare in faccia questo sfogo circolare irrefrenabile che mette gli uni contro gli altri in un tragico vortice d’odio senza fine.
E tal proposito, ora, dopo aver scrutato alcuni particolari nascosti tra i chiaroscuri di questo svelamento, non resta che porsi la seguente domanda: che ne sarà degli avversari del neoliberismo, o, in maniera ancora più estesa, dei detrattori del progetto progressista? Avranno i mezzi e le capacità necessarie per governare i moti deflagranti di questo Male liberato? O si lasceranno inghiottire da esso senza comprenderlo?
Ciò che sappiamo con certezza è che il mondo costruito dal Male per il Male ci è, per sua natura, avverso. Ma al momento non possiamo far altro che assecondarlo. Forse solo quando egli assumerà le sembianze di un macigno insopportabile potremo cominciare a sperare. E questo, ovviamente, non significa affatto arrendersi alla sua forza. Soccombere. Ma al contrario, significa continuare a condurlo alla distruzione per sé medesimo: affogarlo, in sostanza, nel suo stesso Male. Costringerlo, cioè, allo svelamento continuo e mostrare al mondo la sua vera natura, affinché la natura del mondo cambi.
Giancarlo Cutrona
10 novembre 2019
*aggiornato il 7 aprile 2020
Note:
[1] David Harvey, Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo – Feltrinelli, 2014.
Ivi.
La fine del neoliberismo – Jacobin Italia, 22 Marzo 2020 https://jacobinitalia.it/la-fine-del-neoliberismo/
Slavoj Zizek, Problemi in Paradiso. Il comunismo dopo la fine della storia – Ponte alle Grazie, 2015.
Financial Times, intervista a Vladimir Putin del 27 giu. 2019, Vladimir Putin says liberalism has become obsolete. https://www.ft.com/content/670039ec-98f3-11e9-9573-ee5cbb98ed36
Joseph E. Stiglitz, Project Syndicate: The End of Neoliberalism and the Rebirth of History 4 nov., 2019
Paul Mason, Il futuro migliore. In difesa dell’essere umano. Manifesto per un ottimismo radicale – Il Saggiatore, 2019
Paul Krugman, Discutere con gli zombie: Le idee economiche mai morte che uccidono la buona politica, Garzanti, 2020
[2] Pier Paolo Pasolini, Il Potere senza volto. Articolo apparso sul Corriere della Sera del 24 giugno del 1974 – cambiato in: Il vero fascismo è quindi il vero antifascismo, Scritti Corsari – Garzanti, pag.46
[3] Baudrillard, La trasperenza del Male – Sucargo Edizioni, pag.91.
[4] Federico Fubini, Vicedirettore ad personam del Corriere della Sera, intervistato dall’emittete TV2000, il 1 maggio 2019 ha dichiarato: “Faccio una confessione, c’è un articolo che non ho voluto scrivere sul Corriere della Sera. Analizzando i dati della mortalità infantile in Grecia, mi sono accorto che a causa della crisi sono morti 700 bambini. Non ho scritto l’articolo per non essere strumentalizzato dagli anti europei e ostracizzato dagli altri”. https://www.tv2000.it/tgtg/video/tgtg-del-1-maggio-2019-federico-fubini/
[5] Didier Bigo, Globalized (in)security: the field and the Ban-opticon, in Naoki Sakai e Jon Solomon.
[6] Autore di un fallito attentato ai danni di Luigi XV di Francia. Fu l’ultima persona in Francia a essere stata condannata a morte per mezzo dello squartamento, dopo François Ravaillac. L’evento fu riportato da Michel Foucault in Sorvegliare e punire: la nascita della prigione – Einaudi, 1993. Cap. I, II.