Abitare corpi intermedi. Mutare. Trovare perfezione nell’evanescenza: è a questo che tende da tempo l’evoluzione del controllo sociale. In passato la sua funzione è stata quella di catalogare risorse, compattare corpi, tracciare confini, forgiare ere con guerra e distruzione. Più in là — da Freud in poi — si dominarono gli istinti per dirottarli verso l’erosione illimitata delle cose futili in abbondanza. Seguirono aneliti di involuzione, ipnosi regressiva, amuleti luminosi, schermi, orizzonti chiusi dentro i quali si disintegrava il sacro e si faceva spazio ad un “unicum dominatore” dove poter propiziare oggetti, idolatrare il nulla e toccare con mano il fondale precipitato di un’intera umanità.
Con l’avvento del digitale varchiamo ulteriormente la soglia. Parole come neuroscienza, algoritmi e intelligenza artificiale, diventano la chiave. Compongono l’irrequieto e incontrollato sedimentarsi di sofisticazioni articolate che fanno, dell’ipnosi, un vero e proprio metodo di governo. Dalla rete televisiva si è passati alla rete internet, ma la prerogativa è rimasta sempre la stessa: catturare lo sguardo già cucito su un altrove senza nome e fortificare il dominio sugli istinti. Con una impercettibile variante: penetrare la coscienza dell’Io pietrificato e leggere tutta una gamma di intenzioni umane, per datificarle. Pensieri e gesti finiscono così nel vortice. Sono materia grezza, esoterica, da cannibalizzare. Un privilegio, un vantaggio sull’inconscio collettivo che consente di anticipare il futuro, livellare all’estremo le anomalie e condizionare l’azione prima che essa diventi tale.
Tuttavia oggi il potere non vuole scrutare i pensieri nascosti nell’Io digitale: vuole correggerli. Foucault ci racconta di un passaggio. Quello che va dalla società disciplinare al controllo, avvenuto per rispondere ad un’urgenza storica particolare: governare grandi masse in spazi sempre più estesi e collegabili fra loro. In breve: l’urgenza di governare la complessità. Nacque così il “biopotere”, questo amplesso tra politica e scienza che partorisce un’egemonia profonda sugli aspetti immediatamente vitali dell’esistenza. Ma la complessità è un groviglio che fermenta dentro e fuori di sé stesso e alimenta urgenze senza fine. Perciò anche oggi assistiamo all’ennesima metamorfosi del potere. A un nuovo, radicale, passaggio che nasce dalla medesima, rinnovata, storica urgenza: plasmare il bìos degli individui al grado di complessità del tempo corrente e spostare l’asse della propria egemonia dal controllo alla correzione.
Il correzionismo è dunque ciò che noi, ora, potremmo definire come la naturale evoluzione del biopotere. Evoluzione che va colta e compresa a partire dalla sostanziale differenza che intercorre tra questi due termini: controllo e correzione. Il primo deriva dal francese antico contre-rôle “contro registro”: ossia il registro che fa di riscontro al registro originale e serve a verificare i dati. Il secondo dal latino, ed è formato dalla preposizione cum, che vuol dire “mezzo/strumento” e dalla radice rigere “reggere/guidare direttamente/ridurre a ben fare”.
La parabola della postmodernità qui si impone con forza. E solo se scrutiamo a fondo la sua traiettoria possiamo cogliere il senso o la necessità di questo distinguo, che è la necessità di munirsi di parole più idonee a descrivere gli eventi. Occorre dare un nome a ogni nuovo orizzonte. Perché ciò a cui ora siamo sottoposti è qualcosa di inedito, la cui azione radicale penetra nell’intimo l’umano e lo trasforma. Il correzionismo infatti non agisce sugli aspetti immediatamente vitali dell’esistenza. Non li amministra. Non li regola. Non li controlla: ma li corregge. Cioè mira a convertire la natura biologica dell’esistente in qualcosa di nuovo. Di irrimediabilmente sostenibile.
Questo non significa liquidare la questione del controllo dal discorso. Tutt’altro. Significa che ciò che merita la nostra attenzione è il passaggio. La metamorfosi, in corso d’opera, del biopotere. L’ascesa silenziosa di questa nuova stirpe di dispositivi di controllo come il credito sociale cinese, il green pass o la valuta convertita in impronta al carbonio, che già ora, ci vengono innanzi come prefigurazioni simboliche di una nuova antropologia.
Mettere a fuoco l’orizzonte della “nuova normalità” vuol dire comprendere appieno questo passaggio. Questa nuova rivoluzione. Che non è, ancora una volta, una rivoluzione dell’industria a sé stante, ma una rivoluzione totale del codice: informatico, penale, stradale, fiscale, etico, morale, comportamentale ed, in fine, genetico.
Giancarlo Cutrona,
07 dicembre 2021